
Nel 1987, durante il corso dello scavo per la costruzione di un edificio rurale, venne alla luce, in un sito poco distante da Castel di Ieri, un tempio risalente al II secolo a. C. La struttura misura 15,12 metri sulla fronte e 19,8 metri sul lato lungo. Le lastre, in pietra modanate, foderano un basamento in opera poligonale utilizzato come struttura portante dell’edificio. L’accesso frontale avveniva tramite un’ampia gradinata, perfettamente conservata, che immetteva nella cella tripartita attraverso un pronao con quattro colonne sulla fronte e due in posizione centrale. Tutto il monumento è realizzato secondo moduli aventi come misura base il piede italiano di 0,275 centimetri. I tre ambienti conservano la pavimentazione a mosaico a piccole tessere bianche con fascia perimetrale nera. La cella centrale mostra un emblema con il motivo del meandro, che si sviluppa intorno a cinque quadrati decorati con disegni geometrici. All’ingresso dello stesso ambiente, un’iscrizione musiva ricorda la costruzione del tempio ex pagi decreto; il testo epigrafico, databile alla metà del I secolo a.C., si riferisce alla dedica di tre personaggi che curarono i lavori e il collaudo del tempio. Al muro di fondo della cella centrale è accostato il basamento della statua di culto, realizzato in una fase successiva a quella di costruzione.
Tra i materiali rinvenuti durante lo scavo nella cella centrale è da segnalare un leone in pietra locale, di cui è stata trovata in situ la base. Il felino è raffigurato in piedi, le due zampe di destra leggermente avanzate in un accenno di movimento, la coda abbassata, la testa appena girata verso destra. Nella cella principale sono stati recuperati molti frammenti di una statua in pregiato marmo bianco venato, con ancora alcune tracce di colore, attribuita a Giove Egioco. Altri frammenti lasciano ipotizzare la presenza di una statua dedicata a Minerva. In effetti, alcuni reperti inducono a ritenere che il tempio fosse dedicato a più divinità ed in particolare allo stesso Giove, a Minerva, a Cibele o Attis. Nel 1997, durante i lavori per la copertura dell’edificio sacro, sono venuti alla luce i resti di un tempio più antico caratterizzato da uno zoccolo in pietra ed alzato in terra cruda, con una cella centrale forse di età romana medio-repubblicana.
In anni recenti, inoltre, è stata scoperta una necropoli databile all’VII secolo a.C. Il corredo funebre delle sepolture circolari, composto da fibule, bracciali ed anfore, rimanda ad una committenza di rango elevato. Secondo la tradizione orale, tale corredo funebre potrebbe appartenere alla cosiddetta “Fata Minuccia”, raffigurata nell’immaginario popolare come una “regina a cavallo”.
Nel panorama degli edifici sacri di aree limitrofe, il tempio di Castel di Ieri è un significativo esempio della volontà di autoromanizzazione delle élite locali, quando le civiltà locali si dotavano di apparati monumentali con significati celebrativi. Difatti, le caratteristiche costruttive attribuiscono l’impianto templare al II secolo a.c. , anche se la sua fase realizzativa si colloca nella metà del I secolo a.c., quando nell’area fu istituito il municipium di Superaequum; di questo territorio entrò a far parte anche lo stesso pagus che aveva commissionato l’edificio. Parimenti a tutti i grandi santuari italici, esso continuò a funzionare nell’età augustea, incontrando il declino in età giulio – claudia quando le attività politiche, economiche e religiose, prima dislocate nel territorio, si concentrarono nel nuovo e più importante polo di Superaequum. A tal proposito, la localizzazione del tempio va posta in relazione alla direttrice che attraverso il Valico di Forca Caruso e il Varco (uno dei passi montani più vicino al sito, che unisce la Conca Subequana con la Conca Peligna) collegava la viabilità proveniente da Roma con il versante orientale dell’Abruzzo interno. Il santuario sorgeva dunque lungo questo percorso di collegamento intervallivo; esso, in uso al momento del passaggio della via consolare “Valeria”, fu abbandonato in un momento successivo quando un tragitto più diretto conduceva al nuovo polo, già citato, di Superaequum.