
La storia del Mulino Subequano è lontana nel tempo, porta con sé l’impegno di diverse generazioni, ancora oggi tra i pochissimi mulini di piccole dimensioni che portano avanti una lavorazione che può definirsi davvero artigianale.
L’anno di fondazione è il 1890 quando si lavorava lungo il fiume Aterno, in quella che i locali identificano la “Valle” dove sono ancora visibili i ruderi di un’antica struttura in pietra. Cinque generazioni si sono susseguite per portare avanti il progetto della famiglia Giangregorio nonostante le mille difficoltà di competere con lavorazioni industriali ed un mercato sempre più globale. La qualità, però, premia ancora e qualcuno, privati, attività di panificazione e addirittura supermercati, si affidano a contesti familiari per acquistare farine.
Mulino Subequano è gestito attualmente da Francesco Giangregorio e da suo figlio Armando, dal 1927 l’attività ha abbandonato il vecchio mulino in pietra per insediarsi a Castelvecchio paese, mettendo su una struttura a macinatura a cilindri. Un’idea del bisnonno Giacomo per fornire un servizio alla Valle Subequana anche in condizioni climatiche difficili quando la viabilità diventa impegnativa.
Qui si lavorano tutte le farine, perfino la solina, un grano antico recuperato e adatto ad essere coltivato ad altitudini più elevate, e il Senatore Cappelli. “Stiamo rilanciando i grani antichi – spiega Francesco -. Richiedono tempi di lavorazione lenti al contrario di quanto pretende oggi la società che va così veloce. Non c’è tempo neanche per badare alla salute attraverso una alimentazione vera, tutto ruota solo attorno all’economia e all’accorciare i tempi”.
Le fasi della lavorazione del grano prevedono la pulizia, il riposo nell’acqua necessario alla produzione di zuccheri, la macinatura il giorno dopo. Un lavoro lento, svolto con pazienza aspettando i tempi necessari affinché tutto proceda per garantire il massimo della qualità.
“Una bella realtà” per Francesco che parla anche della necessità di riportare i giovani ai vecchi lavori manuali. Se ne parla spesso. Si parla di tornare a quell’artigianalità messa all’angolo da nuove professioni, dalla meccanizzazione dei procedimenti. Da una scolarizzazione che a volte, più che benedizione, pesa come una condanna: lo spopolamento dell’entroterra. Peccato. Queste sono terre selvagge e meravigliose dove, anche grazie ad un uso consapevole della tecnologia, si potrebbe far ancora molto. C’è aria pura, che non è scontato, la qualità della vita è alta.
“Il mulino l’ho montato io – ricorda Francesco – , ho fatto elettrotecnica a scuola. E’ la mia passione fin da bambino. Una volta ce n’erano una infinità di mulini, ora sono pochissimi”.