
“Che buono quel profumo di pane che si spargeva nei vicoli del Paese!” E’ così che è iniziata la chiacchierata al telefono con Maria Loreta, figlia di Fragola Colantoni, che per oltre 10 anni ha gestito quello che una volta veniva chiamato forno comunale nel Paese di Secinaro, piccolo borgo dell’entroterra abruzzese. Mi ha raccontato una storia di fatica, lavoro duro e tanto amore per quello che una volta era alla base del sostentamento di tutte le famiglie: il pane fatto in casa. Il pane, un cibo antico quanto l’uomo, che ancora oggi è alla base dell’alimentazione e non può mai mancare nelle nostre tavole. Oggi parliamo di storia, simbologia di questo alimento e tutti i segreti per preparare un perfetto pane casereccio.
Storia e simbologia del Pane

La storia del pane inizia con la storia dell’uomo. Si tratta di una scoperta del tutto casuale, come d’altronde è successo con le più grandi scoperte dell’umanità. La storia narra che un recipiente con farina mista ad acqua venne lasciata a lungo vicino al fuoco. Ci si accorse che l’impasto rassodava diventando così più buono da mangiare. I primi veri panificatori furono però gli egizi, che iniziarono a produrre il pane utilizzando il metodo della lievitazione naturale: aggiungevano all’amalgama di farina e acqua un pezzetto di impasto lavorato il giorno precedente, ovvero quello che noi oggi chiamiamo lievito madre (leggi anche Tutti i segreti del Lievito Madre). Dagli egizi appresero come panificare anche gli Ebrei, i Greci e in seguito i Romani, perfezionando negli anni la produzione di questo alimento divenuto basilare per la sopravvivenza dell’uomo. Il pane ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella storia, si pensi ad esempio alle rivoluzioni che hanno spesso visto protagonista proprio il pane, legato inevitabilmente alla parte più povera della popolazione. Anche dal punto di vista simbolico il pane ha un forte valore, soprattutto nella cristianità. Si pensi alla moltiplicazione dei pani o al gesto di spezzare il pane durante l’Ultima Cena di Gesù con gli Apostoli. Anche il semplice gesto di creare la croce sull’impasto appena ammassato la dice lunga sulla sacralità di questo cibo. Vero è che la funzione primaria del taglio a croce è quella di verificare se l’impasto sia lievitato correttamente, ma la scelta del tipo di incisione da realizzare è comunque molto significativa. Il pane è sempre presente sulle tavole degli italiani e, durante alcune festività in Abruzzo, viene preparato realizzando disegni particolari o aggiungendo ingredienti segreti, come il pane a forma di treccia o a ciambella per esempio.
Come si preparava il Pane Casereccio

Il Pane in Abruzzo è stato un alimento fondamentale per il sostentamento di tante famiglie, soprattutto quelle più povere e con tante bocche da sfamare. Esistono varie versioni del pane abruzzese, ma generalmente il pane casereccio si preparava con un impasto di patate, farine locali, acqua e ovviamente pasta madre. Come racconta Maria Loreta, le donne del paese il giorno prima di panificare, facevano il cosiddetto rinfresco del lievito madre, aggiungendo acqua tiepida e farina. A notte fonda si alzavano per impastare il pane, aggiungendo a quell’impasto preparato il giorno precedente e ormai lievitato, delle patate lesse schiacciate e la farina. Si ammassava vigorosamente l’impasto sulla tavola di legno e poi si lasciava a riposare e a ricrescere, dopo aver inciso la classica croce con il coltello. Dopo 4-5 ore l’impasto veniva lavorato nuovamente con le mani per formare le pagnotte di pane, che venivano poi messe su una tavola lunga che serviva per trasportarle. Le donne portavano la tavola sulla testa, ponendo tra la testa e la tavola uno strofinaccio arrotolato, come a formare un anello, che serviva per agevolare il trasporto e attutire i colpi.

I filoni di pane venivano portati al forno comunale, dove si lasciavano al caldo ancora qualche ora per far completare ulteriormente la lievitazione. Chi gestiva il forno comunale preparava il forno per la cottura, accendendo il fuoco già dalla notte procedente e si occupava anche di girare il pane di tanto in tanto, perché quella manovra faceva crescere bene il pane, che poi risultava all’interno più aperto e alveolato.
Una volta cotto il pane (che generalmente ci impiegava un’ora e mezza circa) “la fornara” lo pesava per stabilire il compenso del suo lavoro. Dato che il pane veniva lasciato nelle mani di chi gestiva il forno, ognuno utilizzava un segno distintivo per riconoscere le proprie pagnottelle. C’era chi realizzava dei segni con un coltello, chi metteva un’iniziale del proprio nome con un pezzo d’impasto (come mia nonna Sofia che creava la lettera S) o chi ad esempio metteva un fagiolo secco su ogni filone di pane.

Il pane così preparato veniva conservato nelle madie avvolto ad uno strofinaccio e durava anche per 15-20 giorni: niente veniva sprecato e anche il pane raffermo era utilizzato in varie preparazioni, come ad esempio il pane cotto. Fra le varie peculiarità e caratteristiche del pane casereccio possiamo annoverare la crosta fragrante, dura e spessa (generalmente di colore marrone scuro), la mollica morbida, l’alveolatura all’interno e la conservazione molto lunga, in parte dovuta alla presenza delle patate.

Complici della bontà del pane di una volta, oltre ovviamente alla sapienza e bravura di chi lo ammassava, erano le farine di alta qualità.
Una volta nel territorio della valle subequana si produceva il grano duro, il grano di solina e c’era anche una piccola produzione di grano di farro. Ogni famiglia aveva il suo piccolo appezzamento di terra in cui produceva il proprio grano, che veniva poi portato al mulino a macinare per la produzione della farina. Ciascuno provvedeva autonomamente a setacciare la farina prodotta per eliminare parte della crusca, realizzando quindi una farina semi integrale. La crusca che veniva eliminata ovviamente non veniva buttata, ma diventava alimento per gli animali. La farina largamente utilizzata per la produzione di pane fatto in casa era la farina di grano tenero.
Ancora oggi la valle subequana, così come buona parte del territorio abruzzese, è impiegata nella produzione di grani per la realizzazione di farine di alta qualità ideali per la panificazione e non solo (leggi anche Tipologie di Grano). Utilizzare farine qualitativamente eccellenti vi permette di panificare in casa come facevano una volta le nostre nonne, per sentire di nuovo quel buon profumo di cui mi ha tanto parlato Maria Loreta. Scopri qui la nostra selezione di farine del territorio.
Ringraziamo Maria Loreta per la sua disponibilità e per averci raccontato la storia della panificazione, così come la facevano una volta le nostre nonne e mamme.
Articolo molto bello. Buon pane e convivialità. Quando le donne lo riportavano cotto a casa, qualcuno, sicuramente qualche piccolino, ne chiedeva un pezzo, una crosta che non veniva mai negata!